ILTEMPO DI BARBIANA
Febbraio 2008
Il tempo in cui ha vissuto la sua esperienza pastorale don Milani, era il tempo dei grandi principi. Costituzione e Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Il mondo si divideva verticalmente. Est - Ovest. Comunismo - Capitalismo.
Lorenzo, in quei lontani fine anni ’40, si era completamente liberato da tali rigide separazioni. Coadiutore del parroco a San Donato di Calenzano, aveva diviso il suo popolo orizzontalmente. Ossia nell’ottica dei ruoli e delle funzioni. Erano i tempi in cui il desiderio di giustizia era centrale nelle relazioni umane. Soprattutto nel dopo guerra e a Firenze. Dove sua figura di riferimento era don Facibeni: il prete degli orfani. Dove era sindaco un frate laico: Giorgio La Pira.
Eppure, nonostante la presenza di forti trasversalità, con divario tra città e periferia, il dualismo politico fu determinante nell’escludere una delle figure più significative del ‘900: l’allora cappellano di San Donato. Il quale pretendeva soltanto di stare con le persone perché le amava.
Padre Ernesto Balducci, nel riflettere su tale esclusione, si chiede, giustamente, perché don Lorenzo Milani fosse andato a finire lì, in vetta al monte Giovi. Nel porsi tale domanda commette l’errore imperdonabile, lo faranno tutti gli intellettuali dell’epoca, di descrivere Barbiana come un punto morto. La domanda è lecita, ma ciò che ci rende perplessi è il contesto nel quale la domanda è riflettuta.
Ripete Balducci nei suoi tanti interventi: “Barbiana, pur essendo a mezz’ora di macchina da Firenze, mancava di acqua, di luce, di telefono, di strada. Era Bolivia, era Ghana, era Terzo mondo. Situazioni scomparse, ormai, in qualche modo”.
Perché Balducci riconduce la riflessione sul luogo a prima dell’arrivo del Maestro?
Siamo veramente convinti che Barbiana sia soltanto il luogo dell’esclusione?
Non eravamo forse noi un collettivo pensante?
Perché gli intellettuali non hanno mai accettato o pensato la comunità di Barbiana come a un’esperienza di democrazia partecipativa?
Ma che idea hanno della povertà? O meglio, che valore danno alla tanto esaltata cultura dei poveri, se invece di affidarsi a loro (come dice Freire: nessuno educa gli altri, ci educhiamo insieme) affermano, come fa Balducci, cose così assurde?: “Ricordo la mia sottile polemica con il grande amico Lorenzo Milani che, nato ricco, si era ridotto a vivere tra i poveri con una specie di furore autopunitivo. Egli aveva della povertà un’idea eroica che lo rendeva intransigente contro la voglia di divertirsi dei suoi ragazzi …”. Tante volte noi allievi abbiamo cercato di introdurre una riflessione sui toni allegri della nostra scuola. Ma le orecchie sono rimaste sorde! Siamo interessati al prodotto (sempre più astratto e inventato) o al processo (sempre esaltato, ma mai analizzato) educativo del Priore della Scuola di Barbiana? Il quale richiamandoci all’etimo del divertirsi, (scantonare, fare cose diverse), pur considerando i tempi dell’emergenza del montanaro dei lontani anni ’50 o ’60 (che andava a lavorare a 15 anni e non aveva quindi il tempo per i “fronzoli”), non ha mai confuso l’autorevolezza educativa con la privazione del piacere. Anzi … .
Girare il mondo, partecipare ai sit in di Bertrand Russel, incontrare gente, vivere le prime esperienze d’autonomia all’estero, partecipare ai primi concerti rock (Beatles e Rolling Stones) , erano aspetti di vita che quasi solo i ragazzi di Barbiana avevano provato alla loro giovane età, 14/17 anni. I loro coetanei di città erano più sedentari. Ma lasciando perdere ciò che noi allievi abbiamo visto e che altri pare non riescano a vedere … andiamo indietro nel tempo!
Tutti sappiamo che, con l’arrivo di Lorenzo, la parrocchia di Sant’Andrea a Barbiana si trasformerà radicalmente.
La sua scuola costruirà la strada, l’acquedotto, i laboratori di falegnameria, di officina e di fotografia. Avevamo tutti gli strumenti del cinema, cinepresa e cineproiettore.
La nostra scuola era un vero e proprio centro editoriale. Il momento della fruizione dello strumento didattico coincideva, spesso, con il tempo e il luogo dove lo si produceva.
C’era una forte relazione tra l’apprendimento cognitivo e il lavoro.
La realtà, il giornale, aveva centralità nei nostri percorsi didattici. Le attività si legavano in primo luogo all’apprendimento linguistico e ci facevano riflettere al vaglio della vita.
L’imprevisto era considerato una risorsa indispensabile.
Non si programmava, ma si dipanavano le materie attraverso i motivi occasionali.Vedi come la lettura dell’articolo dei cappellani militari, 10 righe, diventa ricerca storica. Capace di introdurre il punto di vista del perdente. Prima ancora che diventare un’autodifesa in tribunale. Un modo per apprendere con la testa e con le mani. Proprio perché esisteva l’apprendimento cooperativo che a Barbiana avevamo la stanza con i tavoli a ferro di cavallo. Dove svolgevamo le attività insieme, come la lettura della posta. Le altre stanze servivano per le attività di gruppo. Quando mancava lo spazio o gli argomenti, c’erano i prati, gli alberi e il cielo.
Spesso la scuola si spostava all’estero e la chiamavamo vacanza. Questo aspetto “del dopo”, arrivo del Maestro, tanto utile non solo a contestualizzare, ma a rendere applicabile il suo pensiero e le sue strategie educative, viene rimosso da padre Balducci.
Gli “intellettuali”, come li chiamava il Priore, si pongono solo nell’ottica di esaltare la figura eroica a scapito della buona pratica. Perché?
Barbiana era un luogo reale o irreale?
In quale luogo il Priore conduceva l’allievo? Mi rendo conto che sto conducendo il lettore in un tempo reale. A sentire tanti pedagogisti di oggi, Barbiana, sarebbe diventata ormai una semplice metafora. Un non luogo, utopico per intenderci, quindi irraggiungibile! Forse è proprio per questo motivo che Don Milani è diventato, ormai, più un simbolo o un mito che un maestro concreto: “Certamente nell’utopia pedagogica di don Milani, recita il prof. Franco Cambi nel suo manuale di Pedagogia, sono presenti alcuni limiti e palesi insufficienze, che riguardano sia il volontario e polemico estremismo, sia il non aggiornamento della sua didattica o la marginalità in cui vengono tenute le scienze, ma la sua denuncia resta un fatto centrale nella pedagogia italiana contemporanea e il suo modello alternativo di scuola si mostra ancora ampiamente suggestivo, oltre che indicativo della presenza, nella personalità di don Milani, delle qualità proprie di un educatore di razza”. Come potete ben verificare, il nostro Priore, che ha passato il suo tempo a demistificare la storia, diventa suo malgrado un mito dell’educazione. Un santino in più da mettere su un piedistallo o in un tabernacolo. Un mito. Attenti perché Mitos, può essere sinonimo di logos: “Barbiana non fu mai, per questo è sempre". Questa premessa era necessaria altrimenti non capiremmo questo falso unanimismo attorno al Priore di Barbiana.
Se non alziamo l’attenzione al processo educativo rischiamo di mistificare e di non individuare i veri nuclei fondativi la sua pratica d’insegnamento.
Se nella pedagogia di Lorenzo Milani individuiamo l’uomo come soggetto responsabile del proprio destino, dobbiamo combattere senza remore l’altro educatore, magari di sinistra, ma sempre più anonimo e omologato (leggi non schierato).
Quello che circuisce, magari in modo involontario, con occulta persuasione.
Che trasmette solo sapere vacuo. Trasmette i valori, ma non esercita la democrazia
. Ma rileggiamo, per meglio capire, una lettera di Lorenzo, scritta nel periodo più fertile. Quello che si lega alla tecnica umile, esistevano anche tecniche, della scrittura collettiva: “Ho chiesto a Edoardo di prendere a cuore la Lettera a una professoressa e di non far altro dalla mattina alla sera. Vorrei che se ne penetrasse talmente da poter prendere iniziative, sentirsi responsabile,vivere intensamente questo parto. Penso che non ci rimetterà nulla. Fino a ieri viveva indeciso tra il chiasso e un po’ di letture svogliate e qualche piacere a me o alla lettera e mi pareva che sciupasse la vita. Oggi invece era in valvola. Giancarlo seguita un nuovo lavoro statistico (confronto vecchia e nuova media). La Carla batte a macchina, l’Olga fa un interminabile lavoro statistico sull’età dei bocciati … Edoardo e Guido si son presi una parte per uno e hanno fatto un elenco completo delle offese alle professoresse… Il Biondo ha 4 pagine che sta buttando all’aria …Mauro sta segnando di due colori l’ultima parte delle medie per distinguere positivo e negativo …Michele sta rileggendo le sue lettere …Aldo ha passato la sera a fare un disegno a china … Cencio a leggerla per trovare parole difficili …La Andre a contare centinaia di bocciati … E io a pancia all’aria a far nulla …”.
Capiamo da queste poche immagini che il Priore ci regala, che il suo metodo d’insegnamento ha nell’aderenza alla realtà e nel rapporto maestro-allievo il suo fulcro vitale.
Il maestro conduce l’allievo in una zona, ecco la vera Barbiana, d’intersezione e laica, mai neutrale, tortuosa, affilata e a rischio quale il filo di rasoio. Dove, al posto delle false certezze, incontriamo il primato della coscienza. Il libero esercizio della ragione critica. I problemi concreti da risolvere in un tempo diluito e non scandito dalle campanelle.
Abbiamo dimenticato l’autodifesa di don Milani in tribunale?: “La scuola invece siede fra il passato il futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità, dall’altro la volontà di leggi migliori …”. Per don Lorenzo Milani il riavvicinamento dell’uomo al sacro passa attraverso l’autonomia del soggetto e non l’indottrinamento.
Rispetta le diversità.
Non viola le altre culture.
Ecco perché non c’è conflitto tra fede e ragione, tra essere prete e maestro laico. Barbiana, per quanto sia possibile annoverarla tra le punizioni, era in realtà una scelta! Era il luogo dello stato di grazia per predisporsi, avendo peccato, ad un amore totale invece che universale. Una cesura consapevole col passato borghese e materialista. Un cammino che dalla conversione lo conduce diritto alla fede e termina nella totale santità.
Perché il Priore era, per i suoi vissuti, convinto che l’intellettuale non avesse il dono di comprendere la realtà.
Comprenderla significava immergersi dentro, fino al tradimento di ciò che prima aveva condiviso: “ … il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l'unico grido di vittoria degno d'un sacerdote di Cristo: “Beati i... fame e sete”. Leggendo la lettera a Pipetta, un amico operaio-sindacalista che ricordo con tanta emozione, datata 1950, rimasta in minuta e quindi sottoposta a verifica nel tempo, comprendiamo che Lorenzo si era già staccato dal “tempo” dei suoi “poveri”.
I quali erano ormai spostati verso un ideale consumistico e mondano. Pensiamo solo agli stili di vita fondati su una crescita economica illimitata o alle famose tre M che sempre il Priore rammentava ironicamente: moglie, macchina e mestiere. Per ricordarci cosa non dovevamo diventare.
Erano, e lo siamo ancora, sì obbedienti alle formalità democratiche, ma a scapito delle autonomie e delle responsabilità individuali.
Per lui, uomo della Provvidenza, il progresso illimitato, basato sul materialismo e le mode, era semplicemente impensabile.
Erano i tempi in cui il potere dei modelli borghesi era ancora egemone e non comprendevamo a pieno la loro incapacità di sopravvivere al crollo della cultura contadina e all’acuta crisi del capitalismo occidentale. Oggi: Tutto cambia.
Calano i consumi e l’occupazione e gli investimenti.
La recessione del tipo americano minaccia ormai l’Europa. I nostri mercati sono saturi. Anche se le ragioni della vita sottostanno alle ragioni dell’efficienza, purtroppo, l’ipotesi di una società, planetaria e solidale, sembra incapace di dare un’alternativa alla catastrofe.
Non v’è richiesta di “liberazione” dal sottoproletariato urbano.
I Gianni si propagano a macchia di leopardo dentro tutti i ceti sociali, mentre i Pierini, semplicemente, scompaiono.
Ormai la società contemporanea, posseduta dal demone della violenza, è incapace di incontrare e comprendere l’uomo diverso.
E’ incapace di crescita culturale e di un progetto alternativo per una politica del dopo-sviluppo. Le nostre azioni si rivolgono solo a favore di funzionalità e efficienza.
Questa cultura della morte e del disprezzo si attiva e si sviluppa nel corso della nostra vita. Sia nella famiglia. Sia nel quartiere. Sia nella scuola, contro la quale, Lorenzo, si era già scagliato nel ’67. Prima ancora che scoppiasse la contestazione. Uomo di parte e schierato con gli “ultimi”, perché gli unici motivati al “piacere di sapere e a divenire coscienti”, li esorta a passare dalla subalternità all’autonomia ed a esprimere la propria cultura contro le ipocrisie e il conformismo degli intellettuali. A differenza degli “intellettuali” non vivo il Priore di Barbiana, il mio maestro, come un tuttologo del suo tempo.
Non so se conoscesse a fondo la seconda legge della termodinamica di Carnot, su cui riflettono i miei cari amici della comunità di Mambre, in un numero del “Granello”.
E’ indubbio e condivido che il fenomeno dell’entropia, la non reversibilità delle trasformazioni dell’energia e della natura, ha come conseguenza l’impossibilità di una crescita infinita all’interno di un mondo finito.
La globalizzazione in corso non può rappresentare il trionfo assoluto della religione della crescita. Sta qui la forza della sua profezia e lungimiranza.
Godere della vita era l’essenza di Barbiana. Anche se tutto ciò appare dentro un alone di mistero, per noi che gli stavamo accanto, il tempo di Barbiana si era lentamente trasformato nel tempo dell’Essere e non era più quello del Divenire. Caro Priore, ma a cosa serve riflettere con la tua testa, se ancora, come cinquanta anni fa, un bambino di 11 anni, nelle nostre povere scuole medie, si ritrova ad avere 8 quando non 12 figure di riferimento. E l’assurda campanella interrompe ancora e di continuo la sua crescita. E il solito Polianski di turno, ancora si affanna a capire i termini di bullismo e disagio … . Cerca i colpevoli e non considera il processo dentro il quale avvengono i danni. Prende l'allievo per mano, solo per fargli fare dei girotondini. Ha imparato a scioperare riscuotendo! E’ vero che sempre hai detto: ”Non sarò mai il santo dei miracoli”.
Però un miracolo ce lo devi: liberaci da questa follia!
Articolo pubblicato su la Rivista: Evangelizzare
Scrivi il tuo commento: info@barbiana.it